Fabio Moda

Sono nato a Mariano Comense (provincia di Como) e ho 43 anni.
Sono diventato un ricercatore perché la ricerca rappresenta per me la sintesi tra curiosità, metodo e impatto. In particolare, lavorare su malattie complesse e purtroppo ancora incurabili, come la SLA, è una scelta che nasce da un senso di responsabilità scientifica ma anche umana: sapere che ogni dato, ogni esperimento, ogni passo avanti può avvicinarci a una terapia, dà un senso profondo al mio lavoro quotidiano.
Malattie devastanti come la SLA e le patologie neurodegenerative in generale colpiscono ciò che ci rende umani: il movimento, il pensiero, la memoria, la comunicazione. Studiarle significa addentrarsi nei meccanismi più profondi del cervello e del sistema nervoso: è una sfida enorme, fatta di ostacoli quotidiani, ma anche di momenti di intuizione e scoperta che danno senso a tutto. Mi motiva sapere che il lavoro che facciamo oggi potrebbe aiutare qualcuno domani.
Il grant AriSLA rappresenta molto più di un semplice finanziamento, è un riconoscimento alla validità di un’idea nuova: un semplice tampone nasale possa diventare una finestra sul cervello malato e aprire nuove strade per la diagnosi precoce e il monitoraggio della SLA.
CI RACCONTA IL SUO PERCORSO DI STUDI?
Mi sono laureato nel 2007 in Biotecnologie Mediche e Medicina Molecolare all’Università degli Studi di Milano, per poi conseguire nel 2010 un dottorato in Medicina Traslazionale e Molecolare presso l’Università di Milano-Bicocca. Dal 2011 al 2013 ho avuto l’opportunità di vivere un’esperienza formativa e umana straordinaria negli Stati Uniti, dove ho svolto un post-dottorato presso la University of Texas Health Science Center di Houston. Lavorare in un contesto internazionale mi ha permesso di confrontarmi con approcci scientifici differenti e di ampliare notevolmente il mio sguardo sulla ricerca. Nel 2022 ho completato la scuola di specializzazione in Patologia Clinica e Biochimica Clinica presso l’Università degli Studi di Pavia, integrando così il mio percorso con una solida base clinica.
HA UN MODELLO DI RIFERIMENTO?
Non ho un singolo modello, ma piuttosto un mosaico di persone che durante il mio percorso di ricercatore mi hanno ispirato, ognuna a suo modo, e mi hanno mostrato cosa significhi fare scienza con umiltà, curiosità e rispetto per gli altri. Mi ispirano profondamente quei ricercatori che riescono a mantenere uno sguardo umano anche quando lavorano su dati e numeri: chi non perde mai di vista che, dietro ogni campione, c’è una storia vera, una persona. Credo che la vera grandezza nella ricerca stia nel trovare l’equilibrio tra il rigore scientifico e la capacità di restare umani, empatici, coinvolti.
C’E’ UN INCONTRO CHE LE HA SEGNATO LA VITA?
L’incontro che mi ha segnato profondamente risale a quando ero ancora un bambino. Un caro amico di famiglia, una persona solare e piena di energia, cominciò a manifestare i primi segni di una malattia che nessuno riusciva ancora a spiegare con precisione. Ricordo il momento in cui mi dissero che si trattava di SLA: non capivo bene cosa volesse dire, ma vedevo che lui cambiava, e soprattutto vedevo la tristezza e la frustrazione negli occhi dei suoi cari. Quella vicenda mi è rimasta dentro, come un nodo da sciogliere. È stato il primo a mostrarmi, senza saperlo, quanto fragile ma anche quanto straordinariamente forte possa essere la vita umana,
QUESTO INCONTRO L’HA SPINTA A STUDIARE LA SLA?
Dopo quell’incontro che mi ha segnato da bambino, lo studio della SLA e di altre malattie neurodegenerative altrettanto gravi è diventato per me molto più di un semplice campo di studio: è diventato un impegno profondamente personale. Il desiderio di capire, di contribuire anche solo con un piccolo passo verso una possibile cura, è cresciuto insieme a me. Negli anni, ho avuto la fortuna di poter trasformare quel desiderio in un lavoro vero. Considero un dono poter lavorare ogni mattina a qualcosa che ha un senso profondo, che parla alle persone e per le persone. La ricerca sulla SLA ma anche sulle altre malattie neurodegenerative è una sfida complessa e spesso frustrante, ma ogni piccolo avanzamento mi ricorda perché ho scelto questa strada, e perché non la cambierei per nulla al mondo.
INCONTRANDO OGGI NEL SUO LAVORO LE PERSONE CON SLA COSA LA COLPISCE?
Oggi, lavorando presso la Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta, ho l’opportunità, e la responsabilità, di vedere e incontrare persone affette da diverse malattie neurodegenerative, tra cui la SLA. Quello che continua a colpirmi, ogni volta, è la dignità con cui queste persone affrontano la malattia, la forza silenziosa, il desiderio di essere ascoltati, di non essere lasciati soli. Sono storie che vanno ben oltre le cartelle cliniche: ognuna porta con sé una famiglia, una quotidianità, una battaglia. Questo mi ricorda che la ricerca non può essere solo un esercizio teorico, ma deve sempre restare ancorata alla realtà, ai volti e alle vite delle persone. Ed è proprio questa vicinanza concreta alla malattia che mi spinge a non perdere mai il senso del mio impegno: trasformare la scienza in una speranza possibile.
QUALE CONTRIBUTO IMMAGINA DARA’ ALLA SUA RICERCA IL GRANT VINTO CON ARISLA?
Il grant AriSLA rappresenta molto più di un semplice finanziamento: è un riconoscimento alla validità di un’idea nuova e, allo stesso tempo, una grande responsabilità. Il progetto si concentra sull’analisi della proteina TDP-43, una delle principali protagoniste della neurodegenerazione nella SLA, in un tessuto finora poco esplorato: la mucosa olfattiva. L’idea che un semplice tampone nasale possa diventare una finestra sul cervello malato è affascinante e promettente. Grazie al supporto di AriSLA, potremo approfondire questa ipotesi, raccogliendo dati preziosi su un possibile biomarcatore accessibile e non invasivo. Questo potrebbe aprire nuove strade non solo per la diagnosi precoce, ma anche per il monitoraggio della malattia e l’identificazione di sottotipi clinici. È un primo passo verso un futuro in cui la SLA possa essere riconosciuta e affrontata con strumenti più precisi e tempestivi. In questo senso, il grant è una spinta fondamentale per trasformare un’intuizione scientifica in un progetto concreto, con ricadute potenzialmente importanti per i pazienti.
GRAZIE AL FINANZIAMENTO ARISLA CREDE CHE IN FUTURO AVRÀ L’OPPORTUNITÀ DI ACCEDERE AD ALTRI FONDI?
Assolutamente sì. Il supporto di AriSLA non è solo un sostegno economico, ma rappresenta anche un’importante valorizzazione scientifica. Essere selezionati da una fondazione così focalizzata e autorevole nel campo della SLA rafforza la credibilità del progetto e del gruppo di ricerca, rendendo più solida la nostra posizione anche su scala internazionale. Questo riconoscimento ci mette nelle condizioni di partecipare con maggiore fiducia a bandi competitivi, sia nazionali che internazionali, e di creare nuove collaborazioni multidisciplinari. L’obiettivo è ampliare la rete, raccogliere dati più robusti e, soprattutto, accelerare il percorso verso applicazioni concrete. In questo senso, il grant AriSLA rappresenta un trampolino per far crescere l’impatto della nostra ricerca, in termini scientifici ma anche, e soprattutto, clinici.
C’E’ QUALCOSA CHE LA MOTIVI QUANDO FA IL SUO LAVORO?
La motivazione più profonda nasce dalla consapevolezza che, anche nel nostro piccolo, ogni esperimento riuscito può avvicinarci ad una cura, per malattie devastanti come la SLA e le patologie neurodegenerative in generale. Queste malattie colpiscono ciò che ci rende umani: il movimento, il pensiero, la memoria, la comunicazione. Studiarle significa addentrarsi nei meccanismi più profondi del cervello e del sistema nervoso: è una sfida enorme, fatta di ostacoli quotidiani, ma anche di momenti di intuizione e scoperta che danno senso a tutto. Mi motiva sapere che il lavoro che facciamo oggi potrebbe aiutare qualcuno domani.
QUALI SONO LE SUE PASSIONI O GLI HOBBY? INCIDONO IN QUALCHE MODO NEL SUO LAVORO DI RICERCATORE
Una delle mie più grandi passioni è la musica, in particolare la musica classica e corale. Da anni suono il pianoforte e dirigo il coro della compagnia teatrale “Besta On Stage”, una realtà straordinaria composta interamente da personale dell’Istituto Neurologico Besta di Milano. Essere il direttore del coro mi permette di vivere la musica non solo come espressione personale, ma come esperienza collettiva, fatta di ascolto, coordinazione, fiducia reciproca: gli stessi elementi che ritrovo ogni giorno nel mio lavoro di ricerca.
SOGNO NEL CASSETTO?
Il mio sogno nel cassetto è riuscire a far sì che il mio lavoro di ricercatore, giorno dopo giorno, possa davvero fare la differenza per le persone. Non tanto per un grande risultato o una scoperta clamorosa, ma per riuscire a portare un po’ di speranza, un po’ di sollievo a chi vive situazioni difficili. Sogno di continuare a imparare, senza dimenticare che dietro a ogni sfida ci sono persone con la loro forza, la loro dignità, la loro voglia di non arrendersi. Il mio sogno è che, anche con piccoli passi, il mio lavoro possa raccontare le storie di queste persone, dare loro voce e magari, un giorno, contribuire a rendere la vita un po’ migliore.