«La scomparsa di #GianlucaVialli ci addolora profondamente. È stato un fuoriclasse sia in campo che fuori. Ha costituito Fondazione Vialli e Mauro per la ricerca, tra i fondatori di Fondazione Arisla, perché credeva nella ricerca. Per il suo convinto impegno e grande umanità gli diremo sempre Grazie!». Con un tweet di Fondazione Arisla, che presiede, Mario Melazzini era stato tra i primi, stamane, a esprimere il proprio dolore per la morte di Gianluca Vialli. Poi, più avanti, ne aveva aggiunto uno personale: «Mi e ci mancherai tanto Luca Vialli ma il tuo sguardo, la tua forza ed il tuo coraggio mi accompagnerà e sarà sempre con me. Grazie per tutto ciò che hai fatto per noi. Ce lo siamo detti spesso e me lo hai insegnato: non mollare mai, ciao Luca».
Melazzini, classe 1958, pavese, medico, noto in tutta Italia per essere un paziente Sla, impegnato da anni sul fronte della ricerca, fino a creare la Fondazione Arisla, proprio insieme alla Fondazione Mauro e Vialli. Manager della sanità, Melazzini guida da poco più di un mese il grande ospedale di Morelli di Sondalo, in Valtellina.
Alla proposta di scrivere lui, per VITA, un ricordo di Vialli, Melazzini recalcitra garbatamente: «Ma no la prego, Luca era un amico, non vorrei dare l’impressione…, sa vedo che ci sono molti interventi, che molti sono amici». Dice «Luca», perché così lo chiamava da quando l’aveva conosciuto, «grazie a Massimo», ossia Massimo Mauro, l’altro calciatore che aveva voluto dedicare impegno e danaro alle buone cause alla ricerca, fino a diventerà presidente Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica – Aisla. Melazzini accetta però di parlare della sua amicizia con Vialli al telefono, in questa strana Epifania, venata di tristezza.
Melazzini, quando vi siete conosciuti, con Vialli?
Fu a Novara, insieme a Mauro. Eravamo intorno al 2004. Io mi ero ammalato da poco e da poco era morto di Sla Gianluca Signorini, ex-giocatore del Genoa, mentre si aveva notizia di altri casi di altri calciatori colpiti da questa patologia. Loro, Mauro e Vialli, avevano già cominciato a sostenere la ricerca sul cancro, specialmente quella del Candiolo di Torino (la fondazione ricerca creata dalla famiglia Agnelli, ndr) ma volevano fare qualcosa anche su questo fronte. Cercavano un’interazione con Aisla, nella quale io ero già impegnato: mi ero reso disponibile per il centro di ascolto, come paziente e come medico, per rispondere al bisogno dei malati e della famiglia. Favorii questo contatto e nacque l’amicizia con entrambi, anche se Luca stava in Gran Bretagna.