Linda Cerofolini

Sono nata a Bagno a Ripoli, in provincia di Firenze. Ho 41 anni, sono madre di un bambino di 5 anni e una bambina di 2 anni.
Credo di avere una vera e propria vocazione per la professione di ricercatore. Come accade a molti che intraprendono questo percorso, alcuni eventi vissuti durante l’infanzia e l’adolescenza mi hanno spinta a cercare un modo per fare la differenza: contribuire all’ampliamento della conoscenza in ambito chimico con applicazione medica. Il mio desiderio è quello di aggiungere, anche solo un piccolo tassello, a questo grande mosaico, con la speranza che un giorno possa essere utile ad altri ricercatori per compiere scoperte capaci di migliorare la qualità della vita delle persone.
L’obiettivo del mio progetto è quello di identificare tramite la risonanza magnetica nucleare una vera e propria ‘impronta digitale’ della malattia, che ne caratterizzi le diverse manifestazioni cliniche.
CI RACCONTA IL SUO PERCORSO DI STUDI?
Ogni esperienza formativa ha contribuito in modo significativo a definire la mia linea di ricerca e l’approccio che adotto nel mio lavoro. Mi considero una chimica farmaceutica prestata al mondo della biologia strutturale. Ho conseguito la laurea in Chimica e Tecnologia Farmaceutiche presso l’Università degli Studi di Firenze nel 2009, un percorso che mi ha permesso di comprendere come le conoscenze chimiche e molecolari possano essere applicate in ambito medico. Successivamente, ho iniziato a lavorare presso il Centro di Risonanze Magnetiche (CERM) di Firenze, dove ho conseguito il dottorato di ricerca in Biologia Strutturale nel 2013. Da allora, ho continuato a svolgere attività di ricerca in questo campo. Le competenze acquisite mi permettono di studiare in dettaglio, a livello atomico, i meccanismi di funzionamento di sistemi biomolecolari alterati e di individuare nuove molecole o farmaci in grado di ripristinarne la corretta funzionalità.
HA UN MODELLO DI RIFERIMENTO?
Non ho un unico modello di riferimento. Mi ispiro ai modelli di donne scienziate famose, quali Marie Curie, Rita Levi Montalcini e Rosalind Franklin, di cui mi piacerebbe seguire le orme e contribuire a lasciare un segno nella scienza. Ho avuto però anche mentori nella vita di tutti i giorni, quali familiari o professori incontrati duranti il mio percorso di formazione, che hanno ispirato il mio modo di approcciarmi alle difficoltà scientifiche.
C’E’ UN INCONTRO CHE LE HA SEGNATO LA VITA?
Ogni persona che ho incontrato lungo il mio percorso ha lasciato un’impronta. Per quanto riguarda il mio avvicinamento alla ricerca sulla SLA, un momento chiave è stato sicuramente l’incontro con i ricercatori della Fondazione I.R.C.C.S. Istituto Neurologico ‘C. Besta’, che ha orientato profondamente il mio attuale cammino.
PERCHE’ STUDIA LA SLA?
Una serie di circostanze – scientifiche e personali – mi hanno spinta in modo naturale verso lo studio di questa patologia. Tra queste, ha avuto un ruolo importante l’inizio della collaborazione con i ricercatori della Fondazione I.R.C.C.S. Istituto Neurologico ‘C. Besta’, che lavorano a stretto contatto con pazienti affetti da diverse malattie neurodegenerative, inclusa la SLA. Contemporaneamente, nel nostro laboratorio è arrivato un collega con una solida esperienza nello studio di una delle proteine chiave coinvolte nella patogenesi della SLA, permettendoci di avviare nuove linee di ricerca in questo ambito. Infine, un’esperienza personale – la diagnosi di una patologia neurodegenerativa, correlata alla SLA, nel padre di un caro amico – ha reso questo interesse ancora più sentito e motivato.
HA MAI INCONTRATO UN MALATO DI SLA? COSA L’HA COLPITA?
Non ho avuto un contatto diretto con persone affette da SLA, ma ho conosciuto persone colpite da patologie ad essa correlate. Ho avuto, inoltre, modo di osservare indirettamente persone affette da SLA. Ciò che mi colpisce profondamente è la loro forza d’animo e la determinazione con cui affrontano la malattia. Questo rappresenta per me una fonte continua di ispirazione e rafforza il mio impegno nella ricerca: spinge a fare di più, e a farlo sempre meglio.
CHE CONTRIBUTO IMMAGINA DARA’ ALLA SUA RICERCA IL GRANT VINTO CON ARISLA?
Il grant ottenuto da AriSLA ha rafforzato profondamente la mia motivazione e la passione per la ricerca sulla SLA. Questo riconoscimento ha rappresentato non solo un’importante opportunità di crescita professionale, ma anche uno stimolo concreto ad approfondire le mie conoscenze in un ambito in cui mi consideravo ancora agli inizi. Con il progetto finanziato, mi propongo di sviluppare metodi analitici innovativi in grado di supportare una diagnosi precoce e un trattamento personalizzato dei pazienti affetti da SLA. L’obiettivo è quello di identificare tramite la risonanza magnetica nucleare una vera e propria ‘impronta digitale’ della malattia, che ne caratterizzi le diverse manifestazioni cliniche e consenta al contempo di distinguerla con precisione da altre patologie neurodegenerative correlate
Grazie al finanziamento AriSLA crede che in futuro avrà l’opportunità di accedere ad altri fondi?
Ritengo che, non appena si cominci a indagare un tema di ricerca, emergano immediatamente numerosi interrogativi che meritano attenzione. Siamo ancora solo alla superficie — la punta dell’iceberg — nella comprensione di questa patologia. In questo contesto, la biologia strutturale e la spettroscopia di risonanza magnetica nucleare offrono strumenti preziosi per approfondire i meccanismi molecolari alla base della malattia e contribuire in modo significativo al progresso delle conoscenze in questo ambito. Penso pertanto che questo progetto aprirà la strada a numerosi altri progetti.
C’E’ QUALCOSA CHE LA MOTIVI QUANDO FA IL SUO LAVORO?
Ciò che mi motiva profondamente è la consapevolezza che ogni piccola scoperta, anche se non immediatamente applicabile, può contribuire in modo significativo al progresso scientifico. Ritengo che ogni risultato, positivo o negativo, abbia un valore: entrambi possono offrire spunti utili, indirizzare nuove ipotesi e alimentare il percorso verso una comprensione più completa della realtà che studiamo.
QUALI SONO LE SUE PASSIONI O GLI HOBBY? INCIDONO IN QUALCHE MODO NEL SUO LAVORO DI RICERCATORE?
Tra i miei hobby ci sono la fotografia e i viaggi, passioni che considero strettamente connesse al mio interesse per la scienza. In fondo, tutte e tre nascono dalla stessa spinta: la curiosità. Ciò che mi guida è il desiderio di osservare, conoscere e interpretare meglio la realtà che ci circonda.
SOGNO NEL CASSETTO?
Nonostante la mia esperienza di 16 anni come ricercatrice nel campo della biologia strutturale, non ho ancora una posizione permanente. Il mio sogno è poter finalmente stabilizzarmi e continuare a dedicarmi a questo lavoro, che è la mia vera passione. Sono convinta che non riuscirei a impegnarmi con la stessa dedizione in un altro ambito.