Marta Fumagalli
Sono nata a Monza, ho 43 anni, sono sposata e ho due figli di 15 e 12 anni. In questa situazione così drammatica per il nostro Paese sto cercando di continuare il mio lavoro da casa, svolgendo tutte le attività scientifiche e di didattica che posso fare con un computer e i molteplici mezzi di comunicazione telematica. Purtroppo, la nostra attività di ricerca sta subendo dei rallentamenti, ma ci stiamo preparando a tornare in laboratorio con maggior determinazione ed impegno di prima. Non nascondo il dolore nel constatare il progressivo evolversi dell’emergenza e realizzare che sono veramente troppe le persone colpite. Non manca poi la preoccupazione, ma ho fiducia e speranza che seguirà il momento in cui si potrà tornare a vivere la normalità. Sarà una nuova normalità che mi auguro faccia tesoro della consapevolezza del valore della sanità e della ricerca scientifica.
L’importanza di investire nella ricerca di terapie, di sistemi di diagnostica e di tutto ciò che può portare a progresso scientifico e tecnologico appare infatti chiara in questo momento storico doloroso. Mi auguro si cambi prospettiva e mi aspetto che il nostro Paese dia il sostegno necessario per valorizzare e alimentare costantemente la ricerca di base e applicata.
Sono diventata ricercatrice perché sono stata stregata dal fascino di fare ricerca durante il periodo di tirocinio in laboratorio per la mia tesi di laurea. Ho iniziato degli studi che non ho più abbandonato: riflettevo in qualsiasi momento della giornata sui risultati ottenuti. Ho avuto l’opportunità, fin da subito, di collaborare con diversi ricercatori sia italiani che stranieri e questi scambi hanno rafforzato molto la mia formazione. Non ho un unico modello di riferimento, ma tanti. Sono donne, ricercatrici come me, che mi hanno dimostrato che è possibile conciliare la vita familiare di mamma con questo tipo di lavoro. Studio la SLA perché spero che le mie ricerche sul recettore GPR17 possano dare un contributo all’identificazione di nuovi possibili approcci per il trattamento di questa malattia. A motivarmi nel mio lavoro è pensare che le mie scoperte potranno un giorno essere di aiuto ad altri. Soprattutto penso alle persone malate di SLA, di cui ammiro il coraggio e la forza di convivere con la malattia.
Il grant vinto con Arisla ha supportato un progetto pilota che mi ha dato l’opportunità di validare un’ipotesi che altrimenti sarebbe rimasta inesplorata. È stato quindi fondamentale, perché ho potuto concretamente estendere le mie ricerche sui progenitori degli oligodendrociti e sul recettore GPR17 in questa patologia.
Questo grant ha contribuito moltissimo alla mia crescita professionale, mi ha permesso di svolgere le mie ricerche in modo indipendente e focalizzato e di presentare (o essere invitata a presentare) i dati raccolti a congressi nazionali o internazionali. Parte di questi risultati sono confluiti in un articolo scientifico che è stato recentemente accettato per la pubblicazione. È un importante punto di inizio che potrà evolvere in uno studio più complesso e specifico grazie al contributo di questo ultimo grant. Nel tempo libero, adoro fare sport, anche se incastrarlo fra tutto non mi risulta facilissimo. La pallavolo mi ha accompagnata fino alla laurea. Il gioco di squadra per raggiungere un obiettivo comune vale anche per il mio lavoro da ricercatrice. Mi piace inoltre leggere e cucinare con mio marito, soprattutto in occasione dei ritrovi familiari (siamo più di 20!), ma in questo caso è lui il vero sperimentatore della famiglia. Il mio sogno nel cassetto, per scaramanzia, non lo svelo! (data pubblicazione 17/4/2020)