Nadia D’Ambrosi

Partner del progetto SWITCHALS. Ricercatrice presso Dipartimento di Biologia, Università degli Studi di Roma Tor Vergata

Sono nata a Roma e ho 50 anni. Convivo da 22 anni con il mio compagno Mauro e sono mamma di due ragazze, Giulia di 18 anni e Laura di 12. Sono diventata ricercatrice perché volevo fare un lavoro stimolante, creativo, di gruppo, che potesse essere sempre al passo con lo sviluppo tecnologico e che allo stesso tempo fosse di utilità alla comunità, una sorta di impegno civile, il ricercatore mi sembrava il lavoro perfetto.

Mi sono laureata in Biologia all’Università di Roma La Sapienza. Subito dopo la laurea ho svolto un periodo a Londra presso lo UCL/Royal Free Hospital. Ho poi  conseguito il Dottorato in Neuroscienze presso l’Università degli studi di Roma Tor Vergata. Come tanti ricercatori ho cambiato spesso sede di lavoro, in quanto sono stata all’Istituto di Neurobiologia del CNR, alla Fondazione IRCCS Santa Lucia, all’Istituto di Anatomia Umana e Biologia Cellulare dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e infine sono approdata all’Università degli Studi di Roma Tor Vergata.

Penso che il nostro mestiere ci porti a stare sempre con la mente aperta a raccogliere informazioni ed esperienze. Per questo motivo credo di essere diventata il ricercatore che sono grazie a quanto ho acquisito da tutte le persone in gamba con le quali ho lavorato, e sono state tante per fortuna. Poiché questo è un lavoro che si svolge in team, in cui le nuove collaborazioni sono uno stimolo essenziale per fare una ricerca di qualità, penso che i miei modelli di riferimento siano sempre in continua evoluzione. Un incontro certamente importante è stato quello con Maria Teresa Carrì, scienziata, mentore, amica, riferimento per la ricerca sulla SLA che mi ha trasmesso conoscenza e passione per la ricerca applicata ai meccanismi di base di questa malattia.

Nel mio lavoro mi motiva sapere che c’è chi in noi ripone speranzeNoi dobbiamo ricambiare questa attestazione di fiducia non solo impegnandoci il più possibile ma producendo risultati rigorosi che devono servire alla comunità scientifica per portare avanti altri studi ancora, perché solo così si potrà arrivare alla conoscenza certa dei meccanismi della malattia e raggiunta quella si capirà davvero come intervenire.

Nei miei incontri con le persone con SLA, in occasione di congressi, sono rimasta colpita dalla forza e dalla capacità di avere un atteggiamento positivo di fiducia e speranza anche nei confronti di noi ricercatori che svolgiamo ricerca di base, che a volte può sembrare distante dalla cura.

Il progetto di ricerca su cui stiamo lavorando e finanziato da AriSLA sarà sostanziale per poter esplorare la possibilità di utilizzare una terapia moderna e che appare molto efficace come quella che utilizza gli ASO (ndr oligonucleotidi antisenso), per validarne l’utilizzo su un gene rilevante in un modello preclinico della malattia. Senza il contributo di AriSLA, questo tipo di sperimentazione che è complessa e costosa, non sarebbe stata possibile.

È solo con dei finanziamenti adeguati che si può fare della ricerca di qualità e la ricerca ben fatta porta a pubblicare dei buoni lavori e i buoni lavori vengono valutati positivamente dagli enti finanziatori. Si viene così ad instaurare un circolo virtuoso attraverso il quale si può svolgere una ricerca d’eccellenza.

Le mie passioni? Mi piace tantissimo leggere, camminare e vedere posti nuovi. Credo che la curiosità sia l’elemento che possa accomunare un po’ tutte le cose. Il mio sogno nel cassetto: che i nostri progetti di preclinica si possano tradurre in trial clinici e funzionare! (data pubblicazione 14/7/2022)

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