Rosario Gulino

Coordinatore del progetto SHHield. Ricercatore presso il Dipartimento di Scienze Biomediche e Biotecnologiche dell’Università degli Studi di Catania.

Sono nato a Ragusa, ho 48 anni, sono sposato con Giorgia e sono padre di due figli, Elena di 14 anni e Francesco di 8.

Fare il ricercatore non è stata una scelta preventivata, ma hanno giocato tanti fattori, alcuni caratteriali e altri casuali, tra cui probabilmente una certa attitudine alla curiosità scientifica e all’inventiva, e la fortuna di avere incontrato qualche professore che ha pizzicato delle corde precise, inducendomi a fare una tesi di laurea appassionante, a cui poi sono seguiti un dottorato di ricerca e altre esperienze indirizzate verso l’accademia.

Il mio percorso di studi è stato soprattutto italiano. Non sono andato all’estero, ma ho avuto la fortuna di lavorare, dopo il dottorato, nel laboratorio della prof.ssa Elena Cattaneo, oggi Senatrice a vita: è stata un’esperienza molto positiva e stimolante. Sono felice di poter lavorare nella mia terra!

Ho mantenuto sempre una certa fascinazione per la ricerca curiosity driven, anche se mi rendo conto dell’importanza fondamentale della ricerca applicata e indirizzata alla clinica. Sono però ancora convinto che l’una non possa fare a meno dell’altra.

Non mi ispiro a nessuna figura in particolare, certamente sono stati significativi alcuni incontri, oltre che con la prof.ssa Cattaneo, anche con alcuni professori di Fisiologia della mia Università, che mi hanno appassionato alla disciplina, e probabilmente hanno contribuito ad alcune scelte successive.

 Perché studio la SLA? Perché sin dall’inizio della mia attività di ricerca ho sempre lavorato sulla fisiologia dei motoneuroni e del midollo spinale, per cui il passaggio allo studio della SLA è stato naturale nell’avanzamento del mio lavoro. Pur avendo da tempo lavorato in ambito di ricerca, non avevo mai incontrato un malato di SLA, fino a quando, nel 2017, mia madre ha avuto la diagnosi, all’età di 63 anni. Difficile dire, in queste condizioni, che cosa in particolare mi abbia colpito, dato che la cosa ha colpito pesantemente lei e l’intera mia famiglia. Forse quello che mi colpiva di più era la difficoltà di comunicare e di alimentarsi, e poi l’idea di una mente lucida intrappolata in un corpo immobile. Purtroppo, mia madre ha avuto una progressione molto rapida, nonostante l’esordio spinale. Mi impressionavano molto le sue paure, ma anche le sue speranze e la sua tenacia, che purtroppo si scontravano con la mia consapevolezza di una realtà ancora difficile dal punto di vista terapeutico, e anche dal punto di vista assistenziale. L’esperienza però mi ha molto motivato a proseguire testardamente nel mio lavoro. Sento un forte senso di responsabilità legato certamente alla mia storia personale, ma anche nei confronti di tutti gli stakeholders, di chi mi finanzia e poi anche nei confronti degli studenti.

Ecco perché aver vinto il pilot grant di AriSLA, che seguo da diversi anni, mi ha riempito di orgoglio e di positività e ha rappresentato per me un prestigioso riconoscimento per il lavoro fatto finora. Soprattutto costituisce una decisiva iniezione di energia alla mia ricerca, che mi auguro, con fiducia, porti ad ottenere risultati importanti a beneficio dei pazienti. Sono convinto che questo pilot grant mi darà una grossa mano ad avere abbastanza dati preliminari e poter accedere ad altri fondi e dare continuità alla mia ricerca.

Sono appassionato di fotografia, di lunghe passeggiate in spiaggia (qui all’estremo Sud della Sicilia si fanno anche a gennaio!) e di letture, soprattutto scientifiche e filosofiche. Le tre cose si uniscono perfettamente: la ricerca fotografica ha tante affinità con la ricerca scientifica, e le letture e le passeggiate sono ispiratrici anche per il lavoro del ricercatore.

Il mio sogno nel cassetto? Credo che i sogni non devono stare nel cassetto, ma quantomeno in bella vista sulla scrivania, sempre pronti ad essere trasformati in progetti. Vorrei un giorno poter andare sulla tomba di mia madre a dirle che sono riuscito a dare almeno un piccolo ma significativo contributo alla speranza di chi sta passando quello che ha passato lei. E poi mi piacerebbe finire il libro fotografico.