Alberto Ferri

Coordinatore del progetto HyperALS. Ricercatore presso l’Istituto di Farmacologia Traslazionale, CNR, Roma.

Sono nato a Roma, ho 54 anni, sono sposato ed ho una figlia di 15 anni. Il momento che stiamo vivendo è complesso. Ho dovuto ridurre l’attività di laboratorio cercando di non azzerarla completamente per non vanificare un anno di lavoro. Nel contempo però cerco di limitare al massimo i miei spostamenti poiché credo che proprio noi ricercatori, in quanto consapevoli del rischio che stiamo correndo, siamo tenuti ad attenerci alle regole dettate dal buonsenso e dai decreti. Un momento quindi di riflessione, buono per tirare le somme di quanto prodotto e pianificare future strategie.

Perché studio la SLA? Ad oggi non saprei dirigere la mia attenzione su argomenti diversi che non siano la SLA: dopo 24 anni di studio, la SLA è diventata una sorta di tematica strutturale della mia vita, non solo professionale.

Fin da giovane la curiosità e la voglia di guardare oltre le apparenze ha motivato le mie azioni. Ho ottenuto una laurea in Scienze Biologiche, un dottorato in Neuroscienze dopo il quale ho ottenuto una posizione come ricercatore CNR presso l’Istituto di Farmacologia Traslazionale e attualmente sono responsabile del Laboratorio di Neurochimica presso la Fondazione IRCCS Santa Lucia, Roma.

Tra gli incontri che hanno determinato la mia carriera e più in generale anche la mia vita, c’è quello con la Professoressa Maria Teresa Carrì. Nel 1996 la conobbi per caso, o meglio durante uno dei vari tentativi di vincere una posizione in un programma di dottorato. Lei era all’epoca ricercatore presso il dipartimento di Biologia dell’Università di Tor Vergata. In quell’occasione non vinsi il dottorato, ma ottenni una borsa di studio nell’ambito di un progetto finanziato da Telethon centrato proprio sulla SLA. Da lì in poi iniziò il mio percorso nello studio di questa complessa tematica al fianco di Maria Teresa Carrì, amica prima di tutto ed insostituibile punto di riferimento. Tutto questo è proseguito fino alla dolorosa e prematura scomparsa di Maria Teresa e prosegue tutt’oggi con nuove responsabilità e prospettive.

Ho sempre trovato gli incontri con i pazienti SLA determinanti, in quanto ci calano inevitabilmente nella realtà strappandoci dal nostro, spesso troppo distante, lavoro di bancone, dalla nostra ricerca di base. E forse è proprio questo che motiva la nostra ricerca: il tentativo di fare qualcosa di positivo per il paziente, qualcosa che dai nostri laboratori rapidamente ci porti alla clinica, qualcosa che dia risposte alle necessità del paziente stesso.

Grazie al Grant AriSLA abbiamo l’opportunità di studiare l’efficacia terapeutica in modelli animali di alcuni farmaci che agiscono come modulatori metabolici, nell’intento di far luce sul contributo dell’ipermetabolismo e dell’ipereccitabilità neuronale nella eziopatogenesi della SLA. Tali molecole vengono già utilizzate nella terapia di patologie diverse e quindi, nel caso in cui lo studio preclinico fosse davvero promettente, la traslabilità nella pratica clinica della SLA risulterebbe estremamente facilitata. Grazie al Grant AriSLA abbiamo ottenuto un finanziamento dall’agenzia Francese AFM-Telethon.

Tra le mie passione c’è la corsa: sono un maratoneta e mi piace pensare che come per il mestiere del ricercatore servano disciplina, rigore e capacità nel sopportare sia la fatica che le sconfitte, ma, in ogni situazione, bisogna guardare al traguardo che, benché possa apparire lontano, esiste e prima o poi lo si raggiunge.  Il mio sogno nel cassetto? Mi piacerebbe raggiungere un nuovo traguardo fornendo un contributo reale alla ricerca sulla SLA, un contributo in grado di fornire possibili ricadute terapeutiche facilmente applicabili. (data pubblicazione 10/4/2020)

Iscriviti alla newsletter per ricevere tutti gli aggiornamenti